Introduzione al Lavoro presentato ai Seminari Multipli 24/5/2025 di Bologna da parte degli organizzatori dell’Area Psicoanalisi dei Gruppi della SPI.
Sintesi scritta dal ‘Gruppo sui Gruppi’ del C.A.P. composto da C. Carnevali, E. Pironi, L. Ravaioli, F. Tarducci, M. Zanchi.
Nella storia della psicoanalisi le teorie della psicoanalisi dei gruppi si sono diversificate nelle loro ipotesi fondamentali e nel loro oggetto di studio, generando modelli specifici che consentono di osservare e interpretare il funzionamento del gruppo/gruppi secondo prospettive diverse. La pluralità dei modelli nelle sue applicazioni cliniche estende il campo della ricerca in psicoanalisi e sollecita nuove ipotesi e costrutti teorici, un po’ come in un caleidoscopio, girando i vetri attorno all’asse centrale, ricomponiamo immagini diverse.
Tale pluralità è stata recepita nell’atto di costituzione dell’Area Nazionale di Ricerca sui Gruppi della SPI, per offrire ai soci quella complessità e diversità necessarie per condividere esperienze ed estendere la ricerca in questa area della psicoanalisi.
Nella pratica psicoanalitica di gruppo, infatti noi operiamo continuamente attraverso lo spazio psichico dell’altro per arrivare a reperire ciò che in noi è disponibile o non disponibile ed accedere così a pensieri o nuove rappresentazioni di se stessi e delle relazioni tra sé e l’altro. Secondo Neri il gruppo terapeutico promuove lo sviluppo dell’intersoggettività e al tempo stesso utilizza questo sviluppo come strumento cardine del lavoro terapeutico.
Anche per Kaës, la psicoanalisi esplora il funzionamento del gruppo “nella prospettiva delle configurazioni di legame e dell’indagine degli effetti dei processi intersoggettivi sull’organizzazione della vita psichica del soggetto considerato nella sua singolarità”. In tal senso il funzionamento del gruppo rifletterebbe l’organizzazione gruppale della psiche, intesa non più come una monade isolata, ma come un’entità aperta agli spazi intersoggettivi e all’influenza dell’altro. Il dispositivo gruppale consente quindi di esplorare le aree di “psiche condivisa” (Kaës1999) per come si attivano nell’intra-psichico dell’individuo e viceversa per come l’intra-psichico si riflette nell’intersoggettivo.
Tali aree possono assumere la forma di precipitati transgenerazionali, residui del gruppo familiare, o precipitati storico-sociali, residui di traumatismi personali e/o collettivi del gruppo di appartenenza.
Nel gruppo il soggetto può sviluppare quella che Facchinelli (1967-1989) chiamava ricerca di identità-partecipazione, attraverso forme di rispecchiamento che svolgeranno una funzione correttiva rispetto a mancanze primitive nella relazione con l’oggetto.
Il primo specchio è lo sguardo dell’altro grazie al quale il bambino si sente appartenere alla specie umana ed essere fatto “della stessa pasta dei suoi genitori”; si tratta dello specchio familiare/gruppale, riconducibile allo spazio transpsichico, ciò che le generazioni passate vedono nel nuovo nascituro e ciò che di sé lui vede rispecchiato; il secondo specchio, che è quello della madre, in virtù del quale attraverso lo sguardo, le ecolalie, le ecoprassie e la parola, il bambino si riconosce come se stesso e organizza la propria soggettivazione all’interno dello spazio interpsichico; il terzo specchio teorizzato da Kaës si riferisce allo spazio intrapsichico e all’incontro di sé con la propria immagine speculare, “momento della costituzione di sé e dell’altro, dei sentimenti sociali e della presa-rilascio immaginaria, fino al momento in cui lo specchio funziona come terzo fra sé, l’immagine di sé e l’altro” (Kaës, 2008, p. 964). Quando i tre specchi, o anche soltanto uno di essi, non funzionano, è difficile per il soggetto costruire un immagine di sé unitaria ed integrata. La défaillance degli investimenti narcisistici parentali sul bambino può portare, ad esempio, al frazionamento, per mezzo di uno specchio andato in pezzi, in una pluralità di persone psichiche, le quali sono in grado di offrire al figlio nient’altro che identificazioni spezzettate, scisse, generatrici di spersonalizzazioni e di angosce senza nome.
In altre circostanze nel gruppo il soggetto potrà diventare consapevole delle identificazioni proiettive che lo imprigionano nello sviluppo della propria identità, costringendolo a giocare sempre lo stesso ruolo rispetto all’altro , o impedendogli di accedere alla rete sociale dei pari.
Corrao (1981) considera il gruppo come un contesto autointerpretantesi, dove a partire da fenomeni di depersonalizzazione e di abbassamento dello stato vigile di coscienza si potranno mettere in moto una serie di fenomeni trasformativi, riparativi, dello stato mentale gruppale e di conseguenza anche di quello individuale. Ipotizza una funzione Gamma, propria del piccolo gruppo, che sarebbe l’analogo simmetrico della funzione Alfa dell’individuo già concepita da Bion (1962).
La funzione Gamma comprende una serie di fattori, uno molto importante riguarda la rêverie di gruppo che si attua attraverso il setting circolare a conduzione unica e che è la base stessa della nascita di questa funzione. La fenomenologia del gruppo è attivata anche dal potenziamento di operazioni di oscillazioni Ps↔D e dall’immissione nel campo gruppale di elementi Beta deboli in grado di essere trasformati in elementi Gamma del gruppo per la produzione di sogni di gruppo, allucinazioni di gruppo, pensieri di gruppo.
Corrente (1981) ipotizza delle trasformazioni proprie del gruppo, in particolare quelle in allucinosi che ha denominato trasformazioni Gamma, per le loro particolari vicissitudini e incroci nel campo gruppale (F. Corrao, C. Neri, G. Corrente, 1983). Queste trasformazioni Gamma alimentano costantemente la funzione Alfa individuale, la aiutano nella sua crescita e procedono alla sua riparazione se questa fosse mal funzionante o deficitaria. Questa processualità, nella complessità e primitività propria del piccolo gruppo a funzione analitica, è uno dei principali strumenti di cambiamento che ogni gruppo opera su di sé e sugli individui che vi partecipano.
Per riassumere, in estrema sintesi, i filoni di ricerca della psicoanalisi dei gruppi potremmo distinguere la psicoanalisi in gruppo, quando il focus è sul cambiamento del soggetto all’interno del gruppo e il riflesso di questo sugli altri partecipanti; la psicoanalisi di gruppo, in cui è la mente gruppale l’oggetto di esplorazione e il suo riflesso sulle trasformazioni del singolo; la psicoanalisi
in/di gruppo con lo psicodramma analitico, in cui il focus è sulla qualità intersoggettiva dei legami tra individuo e gruppo e la psicoanalisi multifamiliare. Il focus è pertanto sulla continua inter-relazione dei processi trasformativi tra individuo e gruppo e viceversa dal gruppo all’individuo.
Nella clinica dei pazienti gravi, dalle psicosi alle strutture di personalità borderline, alle dipendenze, fino agli effetti di gravi traumatismi precoci, la psicoanalisi di gruppo può rappresentare una buona alternativa alla relazione duale. Si tratta di pazienti la cui struttura psichica riporta fin dall’inizio alla necessità di altri linguaggi e strutture della comunicazione, più simili a quella libero associativa che si realizza nelle terapie psicoanalitiche di gruppo, o quella a mediazione corporea specifica dello psicodramma psicoanalitico. Per questi soggetti il ritmo associativo della seduta di gruppo, la simultaneità tra presenza e assenza, la possibilità di oscillare tra figura in primo piano e figura di sfondo, la frammentarietà della narrazione e un certo grado di incoerenza associativa, rispecchiando più fedelmente gli stati della mente primitiva, possono facilitare il coinvolgimento nel processo terapeutico.
A proposito di ritmo segnaliamo che i movimenti del gruppo possiedono una peculiare velocità, ed è questo un fenomeno – o per meglio dire, un epifenomeno – con il quale buona parte della letteratura si è dovuta confrontare. Per Foulkes (1948), che come sappiamo ne fece uno degli oggetti delle sue teorie l’ipotesi di base è quella secondo la quale la perdita dei confini, temuta, fantasmatica o avvertita inconsciamente, generi identificazione multiple o difese paranoicheavvertite come pericolosamente lesive del proprio Io, soprattutto in personalità non sufficientemente strutturate e con una disposizione interna inclinata verso la regressione, in virtù della gravità della loro psicopatologia. La frequenza degli interventi o la rapidità con cui avvengono alcuni fenomeni di gruppo diventa allora una forma di acting in attraverso cui scaricano quote di energia legate all’aumento della pressione interna.
Nella giornata dei Seminari Multipli oltre ad un intervento introduttivo di Sandra Maestro si sono discusse due esperienze cliniche di psicoanalisi di gruppo con lo psicodramma analitico (nella mattina, Cinzia Carnevali) e con il gruppo di psicoanalisi multifamiliare (nel pomeriggio, Andrea Narracci), cercando di esplorare nel vivo della clinica, i concetti espressi.
E’ stato presentato il dispositivo dello psicodramma analitico attuale per dare una visione clinica più concreta del nostro lavoro, si tratta di gruppi terapeutici privati.
I gruppi sono costituiti da 8-10 pazienti adulti, alcuni hanno precedentemente seguito delle lunghe terapie individuali e rientrano nella categoria degli “stati limite”. Le sedute sono di un’ora e mezza, settimanali, con uno statuto di “gruppo aperto”. Questo dispositivo permette ai pazienti di vivere le ansie di integrazione e separazione, lascia ad ognuno il tempo che ritiene necessario per riflettere e partecipare ai movimenti d’insieme dove bisogna, lentamente, apprendere a situarsi. Con l’esperienza, la seduta settimanale si suddivide in tre tempi successivi: l’ascolto e o scambio associativo preliminare, il gioco, la discussione gruppale, con due analisti che turnano la funzione dell’animazione e quella della osservazione. L’osservazione viene letta o restituita alla fine della seduta di gruppo.
Il discorso del gruppo è un discorso dell’inconscio che si differenzia profondamente da quello della psicoanalisi individuale in quanto le parole dei partecipanti anche se apparentemente non hanno dei legami diretti tra di loro evidenziano la creazione di una rete di significati inconscia che è presente e si costruisce nel succedersi delle varie sedute attraverso le catene di associazioni che nascono all’interno di ogni seduta di gruppo. Il gioco è “gioco di rappresentazione” (Lemoine 1972) che si incentra sulle identificazioni attuali che aprono il campo alle identificazioni rimosse, memorie implicite ed ai relativi significanti attraverso la messa in scena del fantasma. Con il gioco si può costruire il mondo dei desideri, uno spazio esplorativo mediante il quale si ha la possibilità di creare, di sentire, di pensare, di incontrare altri esseri, diversi, esterni al soggetto con caratteristiche specifiche e stabili.
Lo psicodramma, diviene così un luogo di trasformazione della narrazione la quale apre un varco a nuovi pensieri, sentimenti e desideri. Il gioco si fa strumento di lettura, di traduzione e comprensione del messaggio dell’inconscio e soprattutto porge l’occasione di appropriarsi di parti sconosciute.
I Gruppi Multifamiliari nascono come tali, in ambiente ospedaliero (OP) intorno al 1960 e solo in seguito, intorno al 2000, Jorge Garcia Badaracco (2004) si rese conto che potevano essere usati in qualsiasi luogo di cura, e propose di chiamarli Gruppi di Psicoanalisi Multifamiliare (GPMF).
Questo tipo di lavoro di gruppo parte dalla constatazione di Garcia Badaracco (2011) che nei GPMF, la follia, la sofferenza intensa si presenta nel contesto più naturale in cui possa esprimersi: un insieme costituito da famiglie o parti di famiglie, compresi i pazienti e dagli operatori afferenti al Servizio in cui si tiene il gruppo. In primo luogo quelli che fanno parte del sotto-gruppo dei conduttori-facilitatori, presenti nel gruppo con continuità e, se possibile, gli operatori in turno.
Questo assetto rende possibile la presa in considerazione dell’evoluzione nel tempo della storia delle generazioni delle famiglie patologiche di cui ognuno fa parte (operatori compresi), a partire dalle difficoltà che si manifestano nei rappresentanti delle due ultime generazioni, un genitore e un/a figlio/a che sono invischiati in un legame di interdipendenza fusionale patologica e patogena,tale vincolo può bloccare la crescita indentitaria, già tanto complessa.
Bibliografia
Bion W. R.(1962) – Apprendere dall’esperienza, Armando, Roma, 1979;
Corrao F. (1981), – Struttura pìoliadica e funzione gamma, in Gruppo e Funzione Analitica, Centro Ricerche di Gruppo "Il Pollaiolo", n° II – 2;
Corrao F. (1998) – Orme. Contributi alla psicoanalisi di gruppo, Raffaello Cortina Editore, Milano
Corrente G. (1983) – Microallucinazioni e sogno, in Gruppo e Funzione Analitica, Centro Ricerche di Gruppo "Il Pollaiolo", n° IV – 1;
Corrente G. (2002) – Ensoñacion e funzione gamma del gruppo nella costruzione di sogni e miti,Funzione Gamma Journal 10;
Facchinelli E. (2016), Al cuore delle cose. Scritti politici (1967-1989). Derive e approdi Editore.
Foulkes S. H. (1948) – Introduzione alla psicoterapia gruppo analitica, Edizioni Universitarie Romane, Roma, 1991;
Garcia Badaracco J. (2004) – Psicoanalisi Multifamiliare, Bollati Boringhieri, Torino;
Garcia Badaracco J.e Narracci A. (2011) – La Psicoanalisi Multifamiliare in Italia, Antigone Edizioni, Torino;
Kaës R. (1994) – La parola e il legame, Borla, Roma, 1996;
Kaës R., Pinel M., Kernberg O., Correale A., (1996) – Sofferenza e psicopatologia dei legami istituzionali, Borla, Roma, 1998;
Kaës R. (1999) – Le teorie psicoanalitiche del gruppo, Borla, Roma, 2012;
Lemoine Gennie e Paul (1972) – Lo Psicodramma, Feltrinelli, Milano, 1973
Neri C. 2021 – Il gruppo come cura, Raffaello Cortina, Milano.