Il film della regista belga Emmanuelle Nicot sollecita emozioni molto forti perché tratta i temi dell’incesto, della pedofilia e degli abusi sessuali e psicologici.
Il punto di vista scelto è originale e, direi, anche molto interessante perché ci mostra il dramma degli abusi visto attraverso gli occhi di Dalva, una preadolescente, (interpretata magistralmente da Zelda Samson) che non sa di essere vittima delle atrocità del padre Jacques.
Questo rende la storia, fin dall’inizio, drammatica e lo spettatore rimane inizialmente confuso perché nella scena di apertura un uomo viene ammanettato e quella che appare come una donna viene portata via mentre grida disperata il nome di lui.
In un primo momento, la brutalità della scena fa immaginare che l’abuso di potere sia la separazione forzata di queste due persone. Solo gradualmente lo spettatore entra in contatto con un dramma peggiore e comprende che l’uomo in arresto, Jacques, è in realtà il padre di Dalva, una ragazzina di soli 12 anni, che viene allontanata dal genitore a causa di un rapporto incestuoso che dura da diversi anni, rapporto reso ancora più orribile perché è spacciato da quest’ultimo per amore ed è aggravato dall’accusa di rapimento.
La ragazzina sembra una donna matura, sia per l’abbigliamento che per gli atteggiamenti. La pretesa di possesso da parte del padre sulla figlia che, dopo la separazione dalla moglie è stata usata come partner, ha come conseguenza il furto della sua innocenza e l’impossibilità per lei di vivere una vita da preadolescente, avendo dovuto prendere perversamente il posto di una donna adulta e, perdipiù, della compagna che deve soddisfare sessualmente Jacques.
A questo proposito è interessante notare che nella Casa Rifugio la prima azione che gli operatori compiono è quella di offrire a Dalva abiti da ragazzina, adeguati alla sua età, abiti che lei per molto tempo non potrà indossare perché si riconosce unicamente in abiti da donna.
Il punto di vista scelto dalla regista è originale perché, anziché trattare il tema degli abusi sessuali attraverso situazioni in cui la vittima è, in qualche modo, consapevole di subire violenze, anche se non è in grado di liberarsene, al contrario presenta Dalva tratta ambiguamente e perversamente in inganno, convinta di avere un posto speciale e privilegiato nella vita di Jacques e questo renderà il suo recupero molto delicato e difficile, come quello di gran parte delle persone vittime di abuso che sono portate a valorizzare il proprio aguzzino, forse anche immaginando di non avere altra possibilità al di fuori del rapporto che stanno vivendo.
Questi abusi diventano ancora più drammatici quando riguardano i minori, perché si trovano in una situazione di fisiologica fragilità e dipendenza dagli adulti.
La protagonista del film interroga incessantemente gli operatori della Casa Rifugio perché non comprende i motivi del suo allontanamento forzato da Jacques che “non le ha mai fatto del male” e difende quella che crede essere una propria libera scelta affermando “Perché un padre e una figlia non possono amarsi?”
Nel suo immaginario si è creata una grave distorsione, a causa delle manipolazioni del padre che le ha presentato l’atto incestuoso come qualcosa di speciale, salvifico e protettivo, facendole credere di essere l’unico rimasto ad amarla poiché la moglie se n’è andata disinteressandosi di entrambi; l’uomo le impone, in modo perverso, una realtà ribaltata e le nasconde l’orrore del rapimento compiuto.
Come è potuta accadere questa distorsione e questo ribaltamento perverso sul senso degli abusi subiti?
Ferenczi è uno degli psicoanalisti che si è occupato in profondità dei temi relativi ai traumi e agli abusi, descrivendo in maniera accurata ciò che accade alle vittime e le gravi conseguenze che ne derivano.
Nel testo del 1933, “La confusione delle lingue tra gli adulti e il bambino. Il linguaggio della tenerezza e il linguaggio della passione”, Ferenczi descrive un tipo particolare di confusione che accade quando alla richiesta di tenerezza di un bambino si risponde, per un morboso fraintendimento, come se si trattasse di una richiesta sessuale.
In questi casi il bambino, per negare l’angoscia di sentirsi in balia di un adulto, tende ad identificarsi con il suo aggressore, e ad introiettarne il senso di colpa. Il bambino sedotto, in questo caso, cerca di tacere la violenza subita e di comportarsi come se il seduttore fosse stato lui stesso, rimproverandosi di non avere contraccambiato sufficientemente il presunto amore dell’adulto, specialmente se si tratta di un padre, poiché nel profondo intuisce di provare sentimenti ostili verso di lui.
Talvolta, l’adulto seduttore potrebbe assumere atteggiamenti critici verso la vittima, in modo del tutto paradossale, indossando le vesti di un bravo genitore.
L’analisi di Ferenczi riguardo a ciò che accade alla vittima dell’abuso è minuziosa, dettagliata e anche originale perché è una descrizione a partire dal punto di vista del bambino e di ciò che prova.
Nei casi di abuso protratto, la paura può portare a sottomettersi alla volontà dell’aggressore e a cercare di intuirne i desideri, identificandosi completamente con lui. Le reazioni di rabbia, di disgusto e di rifiuto possono essere inibite e sostituite con la sottomissione.
Per fare questo la vittima di abusi deve rinunciare alla propria identità, con conseguenze ancora più gravi quando si parla di bambini, come nel caso di Dalva, che si consegna al padre, identificandosi con ciò che lui si aspetta e diventando una adulta/bambina, sensibile e capace di intuire i desideri di Jacques, anticipandoli per limitare il proprio danno.
Potremmo dire che Dalva, costretta ad indossare la falsa identità di una adulta, risponde ai bisogni del proprio genitore, rinunciando così alla propria identità di preadolescente e identificandosi unicamente con la visione dell’uomo, che la vuole adulta e compagna. Nello sviluppo narrativo del film veniamo a sapere che la ragazzina non ha un suo colore preferito e non ha imparato a riconoscere le sue preferenze.
Dalva attua una difesa dissociativa che ritroviamo nei bambini abusati che tentano, in questo modo, di mantenere un buon rapporto con l’aggressore amato/odiato.
Con un’intuizione geniale, Ferenczi descrive il “terrorismo della sofferenza”: si tratta di un terrorismo che porta i bambini a mimetizzarsi, usando il linguaggio della seduzione poiché, per mantenere un rapporto con l’adulto che garantisca loro sicurezza e affetto, sono disposti a compiacerlo nel suo desiderio.
Anche con Jaden, il suo educatore, cerca di attuare una difesa sessualizzata, scambiando l’abbraccio pieno di tenerezza fra i due per offerta di sesso e si sente rifiutata come persona quando l’educatore mette un netto confine protettivo.
Il trauma che Dalva vive su un piano esterno (l’aggressione sessuale di Jacques, l’essere trattata da partner) viene interiorizzato e scompare come realtà esterna diventando una realtà interna che, a quel punto, può essere modificata secondo il proprio bisogno: l’esperienza traumatica e terrorizzante può essere trasformata, quasi come si trattasse di un sogno, in una esperienza positiva, seguendo il principio di piacere precisato da Freud, che descrive come, durante il sonno, l’individuo riesca ad appagare i propri desideri trasformando ciò che spaventa in qualcosa di piacevole.

In questi termini possiamo comprendere meglio l’attaccamento morboso di Dalva al padre e l’assoluta fedeltà al proprio ruolo di partner, come se la ragazzina avesse escluso dalla sua mente l’idea di una violenza, lasciando al suo posto la percezione di un amore grande e sincero che le fa credere di essere amata: da qui, probabilmente, il titolo del film “L’amore secondo Dalva”.
Per sopravvivere ad un ambiente familiare pericoloso, Dalva sceglie la scissione e il mimetismo. Si scinde in due per proteggersi e salvarsi, in un ambiente familiare pieno di insidie e pericoli e rinuncia ad ampie porzioni della sua personalità, perdendo parti importanti della propria vita affettiva che viene imprigionata, dissociata e frammentata.
Una parte della sua personalità (il suo essere bimba, vitale e spontanea) subisce un blocco evolutivo, mentre un’altra parte è costretta a maturare precocemente e diventare la adulta/bambina che vediamo sullo schermo.
Una maturità eccessiva, conseguente a uno shock psichico che, secondo Ferenczi, può attivare inaspettatamente qualità che non si erano ancora sviluppate.
Ferenczi descrive questo processo come una “progressione traumatica”, cioè una maturazione precoce. Scrive: “Viene da pensare a quei frutti che la beccata di un uccello ha fatto maturare troppo in fretta e reso troppo dolci, o alla precoce maturazione di un frutto bacato. Il trauma può consentire a una parte della persona di maturare improvvisamente, non solo a livello emozionale, ma anche intellettuale” (1932, p. 98).

Questo film mette in luce un punto dolente della nostra società che riguarda il fenomeno della violenza domestica, reso ancora più drammatico dal fatto che la famiglia dovrebbe essere il luogo in cui i membri sono protetti, il luogo della trasmissione dei valori dell’uguaglianza e del rispetto, in grado di formare bambini sani, consapevoli del proprio valore, invece spesso è proprio nella famiglia che si consumano i delitti più efferati, quasi sempre ad opera di uomini con gravi patologie narcisistiche, come Jacques che svaluta sistematicamente la figlia e non la riconosce nella sua differenza e soggettività. Questo gli permette di manipolare Dalva, usata come oggetto del proprio piacere, non rispettata nella sua identità di bambina e di figlia, ma usata come “oggetto soggettivo”, secondo il concetto winnicottiano, come un prolungamento narcisistico del proprio sé che non tiene conto dell’orrore dell’incesto.
Non sappiamo nulla della storia di Jacques; spesso le persone violente sono individui che hanno subito traumi, ferite infantili che non si sono cicatrizzate e che continuano a sanguinare, attraverso azioni violente con le quali gridano il loro dolore che non è contenuto ed elaborato ma evacuato concretamente nel corpo e nella mente dell’altro.
Sicuramente questo uomo presenta problemi di sviluppo identitario, come molte persone che usano violenza come mezzo di affermazione sull’altro.
Soggiogare la propria partner, o peggio ancora la propria figlia, come nel caso di Dalva, implica anche l’incapacità di riconoscere i propri bisogni e la propria fragilità e, in definitiva, di avere relazioni equilibrate.
Jacques ha sostituito un rapporto sano con la figlia, con una relazione perversa dove la ragazzina è stata manipolata e tratta in inganno. Nei casi di abuso e di violenza familiare si parla di “vittimizzazione” per descrivere un processo che si viene a creare nel tempo e nel quale la vittima viene privata gradualmente della sua soggettività e delle sue sicurezze fino a indurla a considerare normale un tipo di relazione basato sulle violenze e sugli abusi.
È difficile, per la vittima, uscire da questa spirale di violenze.
Nel film infatti si mostra la necessità dell’intervento dei servizi sociali, di molti operatori e la nascita di una amicizia profonda con Samia da cui la protagonista si sente apprezzata, questa volta senza secondi fini.
Per uscire dalla nebbia che confonde Dalva e che le impedisce di riconoscere le gravi responsabilità del padre sarà necessario un lungo tempo e un doloroso percorso verso la libertà. Questo percorso incomincia dal contatto con altri preadolescenti e dal contributo di diverse figure professionali che la affiancheranno in questo delicato recupero della sua identità di preadolescente.
Il film ci mostra il travaglio e il dolore di questo percorso che la porta gradualmente a ritrovare se stessa, il piacere di una spontaneità infantile che non ricordava da tempo e la possibilità di recuperare quel legame materno che pensava perduto per sempre.
È molto toccante il finale in cui Dalva incontra nuovamente il padre, in occasione dell’apertura del suo processo per violenza e rapimento: questa volta non è agghindata da donna ma indossa abiti da ragazzina, in sintonia con ciò di cui si sta riappropriando; mostra di avere bisogno della madre a cui stringe la mano per trovare coraggio, recuperando quella sana possibilità di identificazione con lei che le è mancata per troppo tempo.

Ferenczi S. (1932), Confusione di lingue fra gli adulti e il bambino. Il linguaggio della tenerezza e il linguaggio della passione. In Opere, vol. IV, 1927-1933, Raffaello Cortina Editore (2002).

 

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