Una rubrica settimanale è diventata un volume di divulgazione scientifica grazie a una scrittura che rende accessibile al lettore una realtà complessa come quella della mente umana, tanto da incuriosire chi legge nell'andare a vedere dove va a parare “il dottore”, portandolo così a fare quella piccola esperienza di indagine della psicologia del profondo che appartiene di solito solo alla pratica psicoanalitica. Al di fuori del proprio studio e della relazione terapeutica tra analista e paziente non è sempre facile riuscire a rendere comprensibile il funzionamento del mondo interno e delle dinamiche inconsce che lo governano. Non è il caso di Battistini che con sagacia e occhio vigile ricerca i significati più reconditi delle piccole cose della vita, così come degli avvenimenti di cronaca, degli accadimenti sociali, culturali e politici, del rapporto fra genitori e figli, dei cambiamenti generazionali e tecnologici, di sentimenti ed abitudini di vita. Un impegno che ogni mercoledì per sedici anni ha richiesto che un paio d'ore venissero sottratte al molto tempo dedicato all'attività professionale. Da tale osservatorio Battistini ha rivolto “sulla città” il suo sguardo psicoanalitico, stabilendo con i lettori settimana dopo settimana un solido rapporto di curiosità e fiducia.

Dalla Prefazione di Sarantis Thanopoulos

Battistini usa un linguaggio che appartiene al patrimonio condiviso della società civile, esprime il pensiero psicoanalitico affidandosi a parole avulse da gerghi tecnici, capaci di descrivere esperienze, sguardi e prospettive accessibili al cittadino mediamente colto e curioso che si scoraggia di fronte a concetti astratti, rivolti a un pubblico di iniziati. La verità analitica è vicina all’esperienza vissuta nella seduta di terapia, ama le sue modalità di espressione. I temi analizzati nel libro sono esposti in modo chiaro e diretto, semplice ma mai banali, e nonostante l’autore spazi tra tanti argomenti, sono intrecciati tra di loro, legati in una struttura unitaria.

Argomenti clinici (disturbo narcisistico, disturbi alimentari, autismo, nevrosi infantili), teorici (il complesso di Edipo, sabotatori interni, fantasia e fantasticheria), civili (omosessualità, neo-parentalità, famiglie), culturali (sessualità, linguaggio e educazione), esistenziali (lutti, suicidio, la fatica dì vivere), sociali (prostituzione giovanile, la crisi sociale e il suicidio, le dipendenze) si connettono per comporre un affresco bello e intrigante, perché la scrittura di Battistini ha il dono delle rivelazioni inaspettate.

La chiarezza dell’esposizione e il piacere del cambiamento di visuale non impediscono il rigore del ragionamento.

Molto lucida la definizione del lutto patologico: il rimanere intrappolati nelle due prime fasi della reazione alla perdita (il diniego e la rabbia, prima, il dolore e la disperazione dopo) senza poter accedere alla fase risolutiva: l’accettazione della perdita e il distacco affettivo progressivo dall’oggetto perduto che rende possibile l’investimento di nuovi oggetti, nei quali si ritrova qualcosa di significativo di ciò che si perde.

Alla difficoltà di fare il lutto è collegata la difficoltà dì perdonarsi, la tentazione dì colpevolizzarsi per ogni cosa andata per il verso sbagliato, a non ammettere la sfortuna, restando intrappolati nella volontà onnipotente dì fare dipendere tutto da sé (nel bene e nel male). Ammettere la sfortuna è accettare il mondo nella buona e nella cattiva sorte, come mondo reale in cui ci si può mettere in gioco con alterne fortune e così sentirsi davvero vivere.

Di seguito uno dei testi che compongono il volume, delicato e brillante esempio dello stile di Angelo Battistini

Diventare Psicoanalista

Un giovane psicologo neolaureato mi chiede come si faccia a diventare psicoanalista, o meglio, dato che visitando il sito della Società Psicoanalitica Italiana ha già trovato tutte le indicazioni pratiche, specifica “quali sono le attitudini, le qualità necessarie?”. Cominciando ad elencarne alcune mi sono accorto che, volendo essere esigenti, l’elenco non può essere tanto breve. Innanzitutto una certa intelligenza, magari più creativa che sistematica. Poi altrettanta intelligenza emotiva, intesa come capacità di riconoscere sentimenti ed emozioni, la base per poter stabilire un buon contatto con sé stessi e il prossimo. La capacità di mettersi nei panni degli altri, di identificarsi con loro, ma senza eccessi, un’identificazione eccessiva potrebbe portare l’analista, in certi casi, a smarrire la propria identità, rischiando di trovarsi in balia del paziente senza più riuscire ad essere d’aiuto. Attitudine riparativa, cioè desiderio di operare instancabilmente per il benessere del paziente. Una certa consistenza, intesa come capacità di reggere le vicissitudini di relazioni terapeutiche che possono essere coinvolgenti o tempestose, soprattutto la capacità di tollerare transfert aggressivi o erotici mantenendo quella distanza che consente di non cadere in comportamenti eticamente inaccettabili e comunque dannosi. Una buona autostima, che si traduce in fiducia nei propri mezzi e in fiducia che, seppure in tempi lunghi, il paziente possa migliorare e presentare processi trasformativi che lo rendano più consapevole, sicuro, autonomo. Pazienza, tenacia e lungimiranza, per non cedere allo sconforto nei casi particolarmente refrattari al cambiamento. Senso dell’umorismo ed autoironia, per non prendersi troppo sul serio. Apertura mentale e onestà intellettuale, qualità preziose in ogni campo. Umiltà, nei confronti dei pazienti e dei colleghi e nei confronti delle stesse teorie psicoanalitiche, che non vanno mai prese come tavole della legge. Infine, cultura, sensibilità creativa ed attitudine immaginativa non guastano mai. A questo punto non so se il giovane interlocutore si sia scoraggiato, in tal caso dovrebbe pensare che in realtà nessun analista può possederle tutte, o possederle tutte stabilmente.

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